Il movimento del simbolo e il tempo dello scambio

Pubblichiamo la prefazione del Prof. Brandalise a G. Panno, Movimento della relazione e Schweben nelle Fichte Studien di Novalis, Imprimitur, Padova 2007, pp. 11-15.

Buona lettura

 

Nel corso degli ultimi decenni, pur attraverso un numero non elevatissimo di episodi critici, l’immagine del pensiero di Friedrich von Hardenberg è andata mutando, acquisendo un’articolazione complessa destinata ad alterare il tradizionale profilo del Novalis interprete più poetico che filosofico della stagione centrale della Romantik. Sintomaticamente i tratti forse più caratterizzanti di questo nuovo scenario vanno configurandosi quanto più emerge la portata tout court filosofica dell’esperienza novalisiana.

Tale rilevanza speculativa assume anche l’aspetto di una radicale complicazione dello scenario di quella filosofia classica tedesca di cui il nostro autore potrebbe essere presentato come un effetto collaterale, anche se l’orizzonte di questa non sembra poterlo contenere nelle linee più classiche della sua ricapitolazione storiografica.

Indubbiamente in questa direzione spingono le operazioni filologiche che hanno emancipato i testi novalisiani dalla soggezione ad una superficiale ed equivoca concezione della forma aforistica. Così, finalmente, il vastissimo panorama di nuclei germinali di pensiero, connessi peraltro da sufficientemente profilate linee forza progettuali inequivocabilmente sistematiche, cessava di ridursi ad una scrittura breve programmaticamente lirica, ricca di suggestione quanto vocazionalmente resistente allo sviluppo.

In particolare la seppur problematicamente evidente organicità della riflessione profusa nelle Fichte Studien ha avuto non poca efficacia nell’evidenziare come il pensiero novalisiano scavi al cuore della speculazione idealistica, e si concentri nell’attraversarne le ambizioni più estreme.

Il registro metaforico praticato come vera e necessaria risorsa teorica, il lavoro sull’immaginazione come sviluppo oltre i limiti intellettuali della potenza del pensiero, se attengono all’aspirazione romantica ad un superamento in direzione poetica dei limiti di una cultura dell’artificio, soprattutto si propongono come passaggio obbligato verso i destini estremi della ragione, modi non altrimenti riducibili di una Dottrina della Scienza non rinunciataria. La lettura novalisiana dell’esposizione del 1794 sembra quasi convivere con il nucleo potenziale destinato a dispiegarsi, arditamente e generosamente votato all’incomprensione e all’apparente inefficacia storica, nella sequenza delle approssimazioni al compimento della Wissenschaftslehre reiterate dal cosiddetto “secondo Fichte”.

Ciò nondimeno ci sembra non temerario asserire che questo recupero dell’importanza filosofica dell’opera novalisiana indichi come i suoi esiti più coerenti e fruttuosi probabilmente debbano passare proprio attraverso il coglimento di quanto l’immagine riduttiva del Novalis aforista puro conteneva in una sorta di evidenza depotenziata. Perché proprio questa apparente debolezza contiene in sé lo Streben che induce, poi, la speculazione novalisiana a trovare la propria ragione più imperiosa nel portare ad un grado di superiore evidenza per il pensiero la dimensione del simbolo.

Certo Christenheit oder Europa poteva essere avvertito un tempo come una poderosa condensazione della forza desiderante che costituiva secondo diverse prospettive di giudizio anche la debolezza filosofica (Hegel) e l’evanescenza politica (Schmitt) del Romanticismo. Alla luce delle Studien e del Brouillon (da inserire nella schiera dei fondamentali Zibaldoni o Cahiers della letteratura filosofica europea), invece, il saggio novalisiano si propone, in un’epoca di “simboliche”, di grandi ricapitolazioni, a volte veri cataloghi di tradizioni sedimentate intellettualisticamente in allegorie o in gergo cifrato, come mostrazione del movimento intrinseco del simbolo.

Nella narrazione novalisiana lo svolgersi di un unico gesto congiunge la pienezza mitica e l’auratico splendore di un Medioevo proposto come tempo dell’armonia originaria, con la sequenza delle tappe della sua decomposizione intellettualistica. Pure queste si rivelano essere anche momenti di una sua liberazione da tutti i sostegni e da tutte le dimore in realtà non essenziali, il simbolo si mostra non come contenuto di una dottrina, il segreto custodito da un convenzionale silenzio iniziatico, ma come il movimento stesso che lo realizza togliendolo dalla condizione di mero sedimento tradizionale.

La filosofia che sembra uccidere il simbolo costituisce anche il luogo dove il simbolo nel suo movimento più intrinseco si riafferma come esito più compiuto, più vitalmente reale, dell’impresa stessa del pensiero. Il Cristianesimo, quindi, risorge dalle ceneri cui sembrerebbe ridurlo il percorso dell’intelletto per assumere una nuova e più compiutamente svelata consistenza. Essa è il movimento che intesse il manto della Vergine come luogo in cui l’antica felice interazione tra i molti centri cospiranti dell’armonia medievale realizza pienamente la propria natura nell’attiva connessione tra i soggetti. È in questo tempo che la scrittura novalisiana avverte come un imminentissimo non-ancora che la rappresentazione mitica del Medioevo diviene verità. O meglio, che ciò che si affidava a questa rappresentazione diviene finalmente vero. La favola del Cristianesimo in Europa si converte nella forma di una realizzazione decisiva della ragione.

Lo scritto sta tutto nel suo riconoscersi come simbolo in atto e quindi nel dar corpo alla centralità dello scambio che converte le sue figure in movimento.

È merito non secondario del volume di Giovanni Panno, dove la Cristianità o l’Europa compare solo come l’indicatore di una apertura sullo sviluppo necessario e pure incompiuto del pensiero novalisiano, stringere i nodi essenziali che legano la tematica dello scambio all’attraversamento novalisiano della Dottrina della scienza[1]. Percorrendo analiticamente le Studien senza sposare preventivamente una definizione d’insieme della prestazione filosofica di Novalis, l’indagine evidenzia come lo scambio riproposto in tutti i passaggi, sia logici che stilistici del testo novalisiano, realizzi in una direzione e con esiti differenti quell’istanza che nell’idealismo promuoverà l’impresa del sistema. L’esigenza di andar oltre un soggettivismo incapace di riconoscere un mondo di legami ulteriori rispetto alla mera affermazione dell’Io richiama la preoccupazione che al sodale Schlegel ispirava sintomaticamente le pagine del Dialogo sulla poesia. Alla constatazione schlegeliana di come il soggettivismo criticista stesse propiziando una stagione di grande poesia lirica, ma inaridendo le forme della tragedia e dell’epica, ormai incapaci di attraversare e formare il mondo, rispondono indirettamente le scritture novalisiane, facendo emergere, attraverso lo scambio, un nuovo pensiero della totalità.

Se esplicitamente Cristianità o Europa può alla fine mostrarsi proprio in quanto realizzazione di un simbolo come una proposta paradossalmente politica, ciò avviene anche perché il pensiero novalisiano, come il lavoro di Panno tende opportunamente a dimostrare, punta a cogliere il luogo in cui la realtà si trascende nell’effettualità.

Questo avviene tanto nella storia – nel tempo vero della Cristianità – quanto nell’orizzonte politico – nello scritto di Fede e amore, in una tensione certo non riducibile alle categorie della scienza politica moderna, di cui indica i limiti nel momento in cui denuncia, rispetto ad essi, il proprio “limite politico”. In questo ultimo scritto, come evidenzia l’autore, lo scambio si fa simbolo. Lungi dallo spesso rimproverato occasionalismo romantico, il simbolo si emancipa radicalmente dalla fissità intellettualistica o estrinsecamente esoterica di una Simbolik dottrinaria o fintamente sacerdotale.

 

 

 

[1]Centrati sulla Cristianità o l’Europa sono invece, sempre dell’autore di questo libro, i saggi Il Medioevo di Novalis. Cristallizzazione del tempo e liberazione dell’angelo, in A. Celli (a cura di), Ritorni Medievali, Unipress, Padova 2004, pp. 25-83 e Das In-Dividuum als Verwurklichung des Goldenen Zeitalters. Messianische Zeit der Christenheit oder Europa Novalis’, in «Internet-Zeitschrift für Kulturwissenschaften» (2005), Heilige vs. Unheilige Schrift, a cura di M.A. Hainz, www.inst.at/trans/16Nr/06_7/panno16.htm.