Pubblichiamo l’intervista del Dott Simone Barbagallo, psicologo e allievo IF a Padova, al Professor Brandalise, apparsa nel n° 158 della rivista della Scuola lacaniana di psicoanalisi Appunti disponibile al seguente LINK
1. Nel momento in cui si pongano in relazione psicoanalisi ed ecologia, verrebbe spontaneo chiedersi cosa ne dicano gli psicoanalisti, e Lacan in particolare, sperando in una qualche miracolosa integrazione del sistema di questioni che su questa tematica viene proposto dalle scienze sociali e dalla stessa filosofia. In altri termini, come la psicoanalisi può muoversi in rapporto all’ecologia senza limitarsi ad aggiungere un’integrazione di analisi psicologica?
La psicoanalisi corre da sempre il rischio di essere assunta come una voce che direbbe il vero sul vero. D’altra parte, in qualche modo nella vicenda complessiva del fenomeno psicoanalitico, ciò ricalca la situazione che si verifica quando l’analizzante identifica nell’analista il soggetto supposto sapere, il depositario di tutte le risposte che gli consentiranno di essere reintegrato in una sua auto-rappresentazione coerente con il percorso che lo porta al disagio e nello stesso tempo immaginariamente emancipata dal disagio stesso. In questo senso, la psicoanalisi nel momento in cui emerge la questione ecologica sembrerebbe essere chiamata a svolgere il ruolo di una fonte di interpretazione psicologica delle dinamiche coinvolte all’interno di questo fenomeno.
In realtà, seguendo un simile percorso non si vede la psicoanalisi in atto. La psicoanalisi c’è quando c’è: quando la psicoanalisi è in atto, essa è in atto contemporaneamente come singolo episodio all’interno della miriade di situazioni in cui si fa relazione analitica, ma è anche ciò in cui si ripete e in un certo senso evolve (in prospettiva forse anche si esaurisce) il gesto analitico inteso come l’evento rappresentato dalla psicoanalisi in quella che potremmo hegelianamente definire la vicenda dello Spirito, o, se vogliamo, nella storia di quel complesso di relazioni che noi ermeneuticamente siamo propensi a identificare attraverso la nozione di modernità.
Probabilmente, ciò che interessa della psicoanalisi per la tematica ecologica è il funzionamento complessivo della psicoanalisi stessa come ciò che ridetermina e reimposta le condizioni del discorso. Qualcosa che ci porta immediatamente a ciò che la stessa osservazione dei processi relativi alla trasformazione che si concretizza in quello che è stato chiamato Antropocene mette in evidenza: cioè il fatto che le vicende che riguardano la Terra non sono esterne al soggetto umano. La psicoanalisi smentisce la presunzione che esista un puro fuori rispetto all’uomo, su cui sarebbe possibile agire senza attraversare attivamente il plesso dei discorsi umani e dei loro effetti.
Quindi all’obiezione per cui la psicoanalisi non riuscirebbe a entrare nel discorso dell’ecologia, ovvero ad aderire al discorso ecologico, arricchendolo e asseverandolo, verrebbe da rispondere che la psicoanalisi può agire soltanto facendo il suo mestiere, che è quello di mettere il soggetto in questione, anche quando – come in questo caso – si tratta del soggetto della scienza. Beninteso, questo non ha nulla a che fare con una lamentazione, né tantomeno con una contestazione antiscientifica. Si tratta di riuscire a comprendere che rapporto c’è tra ciò che motiva e spiega l’esistenza della psicoanalisi e ciò che effettivamente motiva e spiega il darsi di quel complesso di processi che noi rappresentiamo come la tematica ecologica.
2. Verrebbe allora da porsi una domanda che costituisce un rovesciamento paradossale di quella da cui siamo partiti: che cosa dice l’esserci di una problematica ecologica per il destino della psicoanalisi?
Credo che rispondere a questa domanda sia la condizione necessaria per evitare di ridurre il tema all’occasione di un esercizio di pura immaginazione. Se per un verso è indispensabile evitare di concepire la psicoanalisi come un’altra filosofia, è anche vero che il rapporto tra la psicoanalisi e il reale coinvolge in varia forma la totalità di ciò che nel reale si intreccia, a cominciare dagli effetti di quelle rappresentazioni che noi pretendiamo essere immagini oggettive del reale, e che identifichiamo come realtà. Quella realtà che è una costruzione immaginaria, e che nei rapporti effettivi col reale va in genere incontro a delle repliche che la portano alla rottura.
La psicoanalisi fa continuamente esperienza di un reale che fa saltare un complesso di rappresentazioni che legavano la loro quiete, la loro vigenza esattamente al suo silenzio. Diventa quindi importante chiederci in che relazione stia l’evoluzione della psicoanalisi con quel complesso di elementi che si intrecciano nella realtà della cultura dall’epoca della sua nascita a oggi, che sono contemporaneamente quelli la cui evoluzione ci porta in direzione di ciò che rende ineludibile la tematica ecologica. Ovverosia, nello sviluppo che la porta sino ai suoi esiti attuali, la psicoanalisi accompagna e anche promuove un processo di oltrepassamento di sistemi di discorso, di organizzazione delle relazioni interumane, che sono per tanti versi quelli il cui prodotto si manifesta oggi nell’irruzione di un reale che non può più essere fatto tacere.
Sotto questo aspetto, è stata evidenziata già da molti la relazione tra l’immane produzione di rifiuti propria dei nostri sistemi sociali e il discorso che si produce in psicoanalisi sulla natura del rifiuto. Ciò che oggi sta accadendo è il venir meno della possibilità di ritenere che dei fenomeni che un tempo avremmo chiamato semplicemente naturali non siano anche massimamente umani. Una strategia di forclusione che ha consentito a ciò che era forcluso, proprio in quanto forcluso, di agire come condizione strutturante l’ordine. Adesso – la tematica ecologica parte da questo – gli effetti di una prassi di forclusione ritenuta ovvia, igienica, indiscutibile, si traducono in una messa in questione sempre più radicale del suo prodotto storico, come avviene per la sua cornice più vasta che è quella dell’edificio concettuale che ha lavorato come grande produttore della modernità, e che per secoli è riuscito a governare il disavanzo tra la mappa che proiettava sul mondo e le repliche del reale.
Quindi sostanzialmente la tematica ecologica per molti aspetti prende i tratti psicoanaliticamente classici dell’Unheimliche: realmente una situazione da caduta della Casa Usher1, in cui meno neogoticamente le montagne dei residui di plastica che costituiscono vere e proprie isole negli oceani sono manifestazione particolarmente clamorosa di un irrompere in uno spazio igienizzato di quanto è stato necessario escludere per poterlo costituire. Ma questo è realmente significativo nel momento in cui si avverta che ciò che è radicalmente messo in questione è l’esistenza di un fuori rispetto al quale l’umano possa ritenersi uno spettatore preoccupato, bisognoso di intervento, ma sostanzialmente esterno.
Difatti, anche quando affrontiamo un problema rispetto al quale ci pretendiamo esterni, noi siamo più che mai collocati là dove almeno in parte il problema si origina. Ogni qualvolta si intende isolare un problema ci troviamo esposti al rischio di concentrarci sulla ipotetica identificazione di una sua causa specifica, premessa di un’immaginaria adeguata soluzione. Tuttavia, quanto più si va a fondo di una qualsiasi cosa, tanto più si scopre che al suo cuore non vi è mai un nocciolo puro, circoscritto, auto-consistente, ma un intreccio di relazioni con situazioni, processi che sembrerebbero a essa estranei ma che la determinano così com’è.
Questo ci riporta al discorso cui si era alluso in precedenza: la psicoanalisi si pone in relazione alla scienza come qualcosa che nasce dal suo corpo e dalla tensione che si produce tra ciò che nella scienza continua a essere forcluso per consentirle di strutturare adeguatamente il proprio spazio, ma non senza una conseguenza che ne eccede la capacità di comprensione e di controllo. Questo fa sì che, nel momento in cui ci si confronti con la tematica ecologica, ciò che ci rende in grado forse di non avvertirci come totalmente impotenti – o peggio legittimati a fare come se niente fosse – è esattamente la possibilità di connettere il discorso che ci porta in direzione dell’ecologia con altri che apparentemente riguardano cose diverse, ma che in realtà stanno insieme, reciprocamente condizionate e reciprocamente prodotte nel reale con il quale siamo in definitiva chiamati a confrontarci.
Questo ci richiama allora a ciò che è proprio della psicoanalisi: al suo essere essenzialmente atto ed evento. È esattamente ciò che in un certo senso può effettivamente determinare una postura del pensiero che sia in grado, senza pretese di egemonia, di tenere insieme le relazioni tra le messe in questione dei soggetti all’interno delle singole scienze, che sia in grado di richiamare e di gestire l’interazione nel reale tra discorsi diversissimi.
Ciò che potrebbe sembrare necessario quindi è un fascio di azioni di natura diversa che nella loro interazione attraversino e in un certo senso sciolgano ciò che fa sindrome, nodo, plesso di ciò che chiamiamo il problema. Dimensioni diversissime, però fortemente interagenti. Per farlo, non è possibile prescrivere queste azioni come altrettante specifiche terapie farmacologiche che funzionino senza alcuna partecipazione soggettiva. Bisogna – ed è qui che la psicoanalisi agisce – porsi il problema, che riguarda la forma complessiva della nostra cultura, di una riattivazione del desiderio: nel senso che noi oggi siamo spaventati e vorremmo salvarci, ma nessuno si salva perché vuole salvarsi. Ci si salva soltanto se si ha un desiderio così forte e così limpido che non riguarda la nostra salvezza, e con la sua forza e la sua limpidezza ha come effetto secondario quello di salvarci.
Forse, paradossalmente, ciò che la psicoanalisi ci mette a disposizione è la percezione del fatto che la problematica ecologica sta in qualcosa che la sorpassa largamente, e come avviene in analisi consente che qualcosa di inatteso avvenga nel paziente, attivandone il desiderio soggettivo. Nel momento in cui si scopra che ciò che fa problema non è fuori di noi, è necessario evitare che il fuori di noi si ricostituisca attraverso i riti moralistici dell’auto-colpevolizzazione, che finiscono per riprodurre una rappresentazione presunta vera di noi stessi, nella quale siamo sintomaticamente imprigionati.
3. Seguendo il Suo ragionamento, a questo punto dovrebbe emergere una nozione che è inevitabilmente implicata dal discorso sull’ecologia, ovvero quella di politica. Come la psicoanalisi può agire in relazione a logiche come quelle che intessono l’ordine politico, rispetto alle quali la cultura ecologista appare costantemente incapace di imporsi?
Quanto si è tentato di dire finora porta in direzione di una considerazione che riguarda la presenza di quelle che sono state chiamate le categorie del politico all’interno del processo di costituzione della nostra attuale realtà. La fase che stiamo attualmente vivendo sembra per più versi quella in cui la trama che ha prodotto il mondo in cui siamo ancora soliti riconoscerci tende a decomporsi, dando luogo a un complesso di situazioni in cui frammenti importanti di quello che è stato il suo assetto continuano a operare, senza peraltro che sia possibile ricorrere a quelle che sono state storicamente le loro matrici logiche, per tentare di relazionarsi in maniera efficace con il complesso di ciò che oggi sta accadendo.
Sotto questo profilo, la figura dei detentori del potere politico presenta per alcuni aspetti delle analogie con quella dell’analista per il paziente che si rivolge a lui come soggetto supposto sapere. In questo caso, ci troviamo di fronte a dei soggetti supposti potere, che non a caso organizzano la loro comunicazione in funzione della conferma di questa presupposizione. Anche nei confronti delle tematiche ecologiche l’atteggiamento prevalente è quello di chi invoca che non ci si lasci cogliere dal panico, e che si mantenga fiducia nell’adeguatezza del sistema dei poteri a svolgere la propria funzione. Oggi finiscono per darsi la mano l’esplosione del panico nei confronti delle manifestazioni più vistose del cambiamento mondiale – non solo climatico – e la sostanziale evanescenza di un potere politico che sconta sempre più il radicale deficit di quella sovranità di cui rivendica ancora la titolarità.
I processi rispetto ai quali noi siamo soliti lamentare un’inadeguata reazione delle nostre società, sono governati da logiche che si collocano al di fuori di un orizzonte antropomorfico. Questo mette in campo il fatto che esiste una connessione palese tra l’erompere dell’incontenibilità degli effetti antropocenici su quello che sembrava il supporto materiale inintaccabile della condizione umana, e il venir meno dell’efficacia del complesso scientifico-politico fondato sui concetti di sovranità e di rappresentanza e quindi di quel prodotto per eccellenza della scienza politica moderna che è l’individuo.
Una situazione nella quale, anche se in mancanza di meglio è possibile lamentare un cattivo governo del mondo, dobbiamo constatare di essere attraversati da processi che non hanno come loro finalità il governo delle realtà umane. Non sono, in altri termini, processi in cui soggetti sitibondi di potere vogliano imporre un ordine, ma processi che si riproducono, con i loro passaggi catastrofici, indifferenti alle sorti degli esseri umani o dei territori. Qualcosa che in un certo senso consuma senza esitazioni l’esistente, e persevera nel proprio movimento indipendentemente da preoccupazioni relative ai propri effetti: fondamentalmente perché il suo sviluppo riproduce comunque lo scenario di cui ha bisogno per rialimentarsi.
Senza voler aderire al pronostico di disastri imminenti, simili a quelli che un’immaginazione che ha delibato il godimento della catastrofe ci ha propinato letterariamente e cinematograficamente, indubbiamente noi sembriamo prossimi all’emergere di una condizione che potremmo definire post-umana, ovvero ulteriore a quell’orizzonte umanistico che paradossalmente ha contribuito in modo decisivo a produrla. La psicoanalisi, così intima alla condizione umana da fare buco nell’orizzonte umanistico, può forse contribuire ad attraversare eticamente ed epistemologicamente in forma non inadeguata un passaggio così radicale.
Il problema diventa allora come la psicoanalisi può influire non sul discorso ecologista, ma sui discorsi che si intrecciano a definire i limiti dell’azione umana possibile nel mondo in cui nasce la tematica ecologista. La psicoanalisi allora viene chiamata a confrontarsi con il senso del proprio emergere nella vicenda storica e con il destino dello spazio che essa non cessa di riaprire nell’intreccio di linguaggi in cui si scrivono le condizioni del disagio, e quindi a sperimentare un nuovo saperci fare con ciò che non si sa, che è il proprio del suo andar oltre nell’orizzonte scientifico ai limiti delle ideologie scientiste.
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NOTE
1 Cfr. E. Allan Poe, Il crollo della Casa Usher [1839], in Racconti, De Agostini, Novara 1990, pp. 97- 111.